Carlo Marchini Onlus
dal Giornale di Brescia del 18 novembre 2010

Brescia porta speranze nella terra ferita


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Brescia porta
speranze
nella terra ferita
 Da Haiti arrivano anche alcune buone notizie. Fra le pozzanghere e le macerie sono state costruite le casa-famiglia di Dessaline e Petion Ville: la prima abitata all'inizio di settembre, la seconda ai primi di ottobre da due gruppetti di ragazzine con le comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Le altre bambine che hanno subìto le conseguenze della distruzione - spiegano le suore - stanno aspettando la costruzione di un grande collegio a 12 chilometri dalla capitale, dove un complesso di 16 bungalows raccoglierà 150 ragazzine orfane o con gravi problemi familiari, offrendo loro non solo la casa e la scuola, ma una vera famiglia. Da quella comunità arriva un calorosissimo grazie alla realtà bresciana «Amici dell'Associazione Carlo Marchini Onlus» che con notevoli contributi ha reso possibile la costruzione delle due case realizzate (da una ditta di Santo Domingo) in pannelli di cemento, sufficientemente solidi per un uso duraturo. L'associazione, che ha preso a cuore la situazione dei bambini di Haiti, è ora impegnata per la costruzione di una grande cucina scolare a Port Au Prince, la capitale trasfigurata da 105 secondi di scosse telluriche.
Carlo Marchini era un giovane in vacanza in Brasile, aveva portato un piccolo contributo, raccolto tra amici, a un missionario salesiano sul Rio Negro, in Amazzonia. Lì, facendo il bagno nel fiume con i ragazzini della missione, è stato risucchiato da un gorgo e non è più tornato. Era il 2 gennaio 1992. «L'idea di fondare un'associazione a suo nome è nata così. Tra amici, per ricordarlo - ci dicono i volontari - perché da questa tragedia per pochi nascesse una nuova opportunità per molti». Quella stessa speranza che ha illuminato tanti quartieri in Brasile, ora è stata piantata ad Haiti. «La grande ricostruzione di Haiti deve ancora incominciare - scrive Suor Vilma Tallone in una lettera di ringraziamento all'associazione - I tecnici parlano di 20 anni e anche più. Significa che un'intera generazione è condannata a vivere in rifugi precari. La ricostruzione sarà il frutto certo di grandi investimenti e della cooperazione internazionale, ma si realizzerà anche, e in modo più efficace, con gli aiuti modesti, ma continui di tante persone sconosciute».
                                                           Nicola Migliorati
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